No, non Commissario Tecnico della Nazionale (gli Azzurri!)
Ormai siamo arrivati alla fine del 1994, pochi giorni dopo l’anno nuovo ho una sorpresa: mi chiedono di entrare nell’indagine, direttamente, come ‘Consulente Tecnico’ per la parte civile!
Proprio non me lo aspettavo.
E’ successo che due protagonisti del caso Ustica, già impegnati nell’indagine, hanno letto la nota che ho consegnato al magistrato qualche mese prima e l’hanno trovata interessante, per cui si sono informati su di me, hanno saputo che da anni collaboravo con Franco Scottoni sul caso, e si sono rivolti a lui per chiedergli se poteva metterli in contatto con me, che mi avrebbero proposto appunto di entrare direttamente nell’indagine.
Franco gli dice di si, me lo chiederà, ma li avverte: Attenti perché quello poi fa come gli pare.
Mai parole furono più profetiche.
Si tratta di Romeo
상안검 효과 Ferrucci e di Mario Cinti.
L’avvocato Romeo Ferrucci è il capostipite degli avvocati che si occupano del caso Ustica, anzi si può dire che l’indagine sia iniziata veramente proprio grazie a lui. Era un magistrato della Corte dei Conti in pensione, e leggendo sul Corriere della Sera gli articoli del giornalista Andrea Purgatori (che è il capostipite dei giornalisti) lo andò a trovare facendosi consegnare le carte studiandole per settimane e mesi. Quando si convinse che ‘non’ si stava facendo giustizia si mise in contatto con molti dei familiari delle vittime e li convinse a costituirsi in Comitato. Poi riuscì a farli ricevere dal Presidente Cossiga che si impegnò a promuovere il rilancio dell’indagine che languiva fra ritardi e omissioni, ma soprattutto per mancanza di “soldi”. Infatti lo “Stato” aveva detto al Giudice Istruttore Bucarelli che se il recupero del relitto si risolveva in un fiasco la spesa l’avrebbe pagata lui con la liquidazione e le trattenute sullo stipendio: oltre sei miliardi!
Ma l’intervento di Cossiga, che scrisse al Presidente del Consiglio Craxi, pian piano riuscì a ad ottenere che si stanziassero le somme necessarie per far recuperare il relitto.
Mario Cinti invece era un ex dipendente dell’Itavia, la compagnia aerea privata che era proprietaria del DC9 I-Tigi precipitato. Amico del proprietario Avv. Aldo Davanzali aveva la funzione di addetto alle pubbliche relazioni.
Con il disastro e la conseguente
하안검 효과 chiusura dell’azienda aveva perso il lavoro e, ormai in pensione, si dedicava all’indagine in corso con la nomina, anche lui, a Consulente Tecnico (sarebbe il ‘perito’).
Dopo il disastro contro l’Itavia c’era stata una vera e propria campagna diffamatoria. ‘Carrette del cielo’ titolavano alcuni giornali, e sulla spinta di questa campagna il Ministro dei Trasporti dell’epoca, il socialista Rino Formica, aveva ritirato le licenze di esercizio, determinando la fine dell’azienda.
Poi, verso la fine del 1980, si erano conosciute le risultanze dell’esame dei tracciati radar di Ciampino, in particolare quelle dell’Ente per la Sicurezza del volo USA (lo N.T.S.B. gia citato) e il proprietario, Davanzali, aveva detto in televisione che il suo aereo era stato abbattuto da un missile. E quindi denunciato per ‘propagazione di notizie false e tendenziose’. Comunque fin dalle conclusioni della prima commissione d’inchiesta (Luzzatti) nel ’82 era emerso chiaramente che l’aereo era in ordine e nessuna responsabilità poteva addebitarsi alla compagnia, che era così diventata, al pari dei passeggeri, ‘parte civile’.
Romeo Ferrucci era il classico avvocato espertissimo di cose legali e pronto alla polemica. Mario Cinti, ex Colonnello dell’Esercito, era anche lui avvocato (come studi però, perché non aveva mai esercitato) ma ci teneva al grado e tutti lo chiamavano ‘Generale’ (in virtù del fatto che con il pensionamento era diventato Generale della Riserva).
Cocciutissimo, ricopriva un ruolo che gli era poco congeniale, quello di ‘Consulente Tecnico’, non avendo mai avuto ruoli tecnici nella sua professione passata. Ma nonostante questo aveva sempre battagliato per dire la sua quando c’erano cose che non lo convincevano.
Però ormai il ‘Caso Ustica’ era diventato di valenza nazionale, erano entrati nuovi avvocati a rappresentare i familiari delle vittime, si erano affacciati deputati che seguivano la vicenda, e i Consulenti Tecnici per la parte civile erano diventati i professori del
눈썹거상 효과 Politecnico di Torino. Quindi ormai per la parte legale le persone interessate gravitavano per lo più a Bologna, mentre per la parte tecnica a Torino.
E loro, Mario e Romeo, si sentivano un po messi da parte, ai margini di una inchiesta che invece all’inizio li aveva visti protagonisti.
Per cui, hanno pensato, con il supporto di un altro tecnico che seguisse il loro percorso, avrebbero avuto modo di rientrare nel pieno dell’indagine e recuperare visibilità all’interno del gruppo Avvocati/Consulenti dal quale si sentivano un po emarginati.
E forse, ma questo era inconfessato, il fatto che io collaborassi con il giornalista di punta di La Repubblica sul caso Ustica, avrà avuto il suo peso.
C’è da dire che in quel momento tutta la parte civile, compresa l’Itavia, era riunita nell’ambito dell’Associazione dei Familiari delle Vittime, quindi io ero nominato CT in questo ambito (o forse è meglio dire ‘imposto’, visto che la nomina era stata un atto ‘motu proprio’ di Ferrucci, del quale gli altri avrebbero fatto volentieri a meno)
Comuque io già sapevo tutto e avevo letto tutto, quindi entravo già preparato, con quasi sei anni di ‘anzianità’.
Gli accordi furono semplici: niente soldi e libertà di giudizio.
In cambio diventavo ‘ufficialmente’ CT (Consulente Tecnico per la parte civile) nominato da Ferrucci ed avevo il diritto di chiedere di partecipare alle riunioni dei Periti Giudiziari (CTU, Consulenti Tecnici d’Ufficio), proporre sessioni peritali per esaminare questo o quel reperto o richiedere la documentazione agli atti per esaminarla.
Ora non ero solo legato alla lettura delle perizie depositate, ma potevo richiedere la documentazione sulla base della quale queste perizie erano state elaborate e avevano tratto le loro conclusioni. Se volevo controllare, ad esempio, la situazione dei recuperi in mare nei giorni successivi al disastro potevo richiedere tutti i documenti, le carte nautiche, i verbali, e studiarmeli direttamente.
Insomma, potevo scavare sempre più a fondo.
Elaboro un piano: riesame della perizia tecnica (con l’accesso alla documentazione dei vari settori) ed esame del relitto col fine di ricavare un modello virtuale in 3D (intendo un disegno tecnico CAD in 3D) più preciso possibile per localizzare, sull’insieme del relitto ricostruito nel computer, eventuali evidenze di danni del missile che finora nessuno era mai riuscito a localizzare.
Il primo atto, quindi, una completa ricognizione fotografica del relitto, che imparerò a conoscere in ogni particolare.
Ferrucci e Cinti sono d’accordo, si comincia.
Cominciano subito anche i malumori: quando chiediamo di accedere all’hangar di Pratica di Mare dove si trova il relitto devono necessariamente venire anche persone dell’Ufficio (cioè del tribunale, il Cancelliere e i poliziotti), poi devono venire i Carabinieri della base ad aprirci e devono restare con noi finchè si esce. Ma con questi non c’è problema.
Poi devono venire anche alcuni periti giudiziari, e questi hanno un po l’atteggiamento infastidito di chi è costretto a perdere tempo che potrebbe impiegare meglio. Anche gli altri CT di parte civile quando vengono non è che siano proprio entusiasti.
In questi mesi tutto si svolge in silenzio: mi faccio le mie fotografie e mi leggo le carte, e comincio a fare tutta la serie di disegni tecnici: la posizione dei relitti ritrovati in mare, di quelli sul fondo, della rotta dell’aereo” dice: ma quelli c’erano già! Eh, io sono come S. Tommaso, devo verificare, hai visto mai che qualcuno si è scordato qualcosa. E poi se le cose te le fai da solo le capisci meglio.
Già all’inizio però c’è un piccolo incidente di percorso.
Credo a febbraio ’95 (quindi appena un paio di mesi dopo che ho iniziato) mi telefona un giornalista dell’Europeo, Sandro Provvisionato. Lui ha seguito parecchio il caso Ustica, e ora l’Europeo, un antico e prestigioso settimanale, sta per chiudere i battenti. Lui vorrebbe fare, sul penultimo numero prima della fine delle pubblicazioni, un servizio ‘importante’. Naturalmente ha già di che scrivere, conosce benissimo la vicenda, però vorrebbe qualche spunto ‘recente’, importante, da inserire nel servizio.
Beh, io penso che lo spunto migliore sia proprio quello sul fantomatico volo del colonnello Gheddafi, sul fatto che AJ411, quello che ‘vira su Malta’, è in realtà un volo di linea Aereoflot. E’ un dato certo perché è stato appurato direttamente dal Magistrato durante una indagine condotta in Russia.
Del resto è una cosa ormai nota agli addetti ai lavori, ma che finora non è stata ripresa da nessuno, non si capisce se per distrazione o perché si è affezionati alla storiella del ‘proditorio attacco’.
Neanche è una storia che ho ‘scoperto’ io, quindi nemmeno mi si può accusare di cercare pubblicità o farmi bello. Ma si, mica rivelo un segreto, è scritto pure sulla perizia, questa ultima che conclude ‘bomba’.
Così esce l’articolo sull’Europeo dove si dice che la storia del volo di Gheddafi è tutta una balla.
Apriti cielo! Ci manca poco che mi cacciano subito, appena cominciato.
Sembra che avendo svalorizzato l’ipotesi del ‘proditorio attacco’ di fatto sarei ascrivibile al ‘partito della bomba’! Un traditore, una serpe in seno.
Ma che c’entra? E che il missile esiste solo se lo volevano tirare al leader libico?
Insomma, un po’ di maretta, ma passa. E poi è bene non fissarsi con gli ‘scenari’, specie se sono fasulli.
Abbiamo deciso che riesamineremo il relitto per cercare le evidenze di danni, pure del missile, e quello sto facendo. Se ci mettiamo a lavorare sulla base delle leggende metropolitane facciamo esattamente quello che vogliono gli oscuri ‘depistatori’, e coi paraocchi non arriviamo da nessuna parte.
Per il resto decido io con chi e di che cosa posso parlare.
Dunque cominciamo a cercare i segni del missile, che secondo me devono essere ‘macro’, e non ‘micro’.
Se l’aereo ha subito un danno tale da farlo precipitare questi danni devono essere ben evidenti, e la tecnica per evidenziarli non può essere altro che quella del ‘puzzle’: tu cerchi di rimettere a posto tutti i tasselli, e quando hai finito saranno ben evidenti quelli che mancano. Ma non è che i vari frammenti dell’aereo possono essere rimessi insieme con la precisione dei tasselli di un puzzle. Correttamente si è deciso di non tentare una ricostruzione di tipo ‘distruttivo’, cioè di raddrizzare le lamiere contorte per farle riassumere la forma originale e poi ricollocarle sul simulacro di fusoliera realizzato in rete metallica, però si è potuto ritrovare la posizione originaria di ogni frammento recuperato che avesse un minimo di dimensione (i frammenti di pochi centimetri naturalmente non sono ricollocabili) e sulla carta si è realizzato uno ‘skin map’ (mappa della pelle) che rappresenta tutta la fusoliera del velivolo e dove sono stati disegnati, in forma e dimensione quanto più possibile al pezzo originale, i vari frammenti che appaiono invece contorti sul relitto.
Immaginate un pesce a cui fate un taglio nella parte inferiore, dalla bocca alla coda, e poi apritelo spiattelandolo su una superfice piana: avrete lo skin map del pesce. Ora pensate che avete trovato il pesce tutto a pezzettini, e quindi dovrete rimetterlo a posto facendo combaciare i vari pezzettini fino a ricomporre la pelle del pesce. Il pezzo che manca è dove è entrato l’arpione.
Ecco, io voglio partire dalla pelle del pesce per quanto ricomposta e rimetterla sul velivolo. Non su quello vero, ma su quello che creo al computer, sfruttando le potenzialità dei primi programmi CAD per disegno tecnico computerizzato.
Non parlo dei programmi che ti permettono di fare la paperella e la piramidina in 3D, ma di quelli CAD (Computer Aided Drawing, disegno assistito da computer) che servono per il disegno tecnico.
Come tutti avranno avuto modo di vedere il disegno tecnico si svolge sempre su un tavolo da disegno, su un piano, quindi in due dimensioni (2D), ma esso è una rappresentazione di oggetti in 3D (tridimensionali) perché in natura gli oggetti a due soli dimensioni non esistono. Per cui il progettista usa ‘artifici’ grafici, come le proiezioni ortogonali o l’assonometria per rappresentare oggetti che esistono realmente, e dargli forma e dimensioni. Ma l’oggetto reale, quello in 3D, prima di essere rappresentato su carta, esisteva solo nella mente del progettista. Faceva così Leonardo, Michelangelo, ma anche gli antichi costruttori romani che riuscivano comunque ad edificare edifici imponenti con strumenti di disegno molto meno elaborati di quelli nati nel ‘500.
Ora possiamo disegnare su 3D, quindi avere nel computer ‘l’oggetto vero’, anche se in realtà virtuale.
I primi programmi CAD sono apparsi verso la fine degli anni ’80 (io il primo l’ho preso nel 1987), e per fare questo lavoro di ricostruzione del velivolo uso uno dei primissimi in grado di eseguire la ‘modellizzazione solida’, cioè in grado di considerare come reale anche il volume di quello che vado disegnando, e soprattutto di eseguire la somma e la sottrazione di solidi, cioè di montare il puzzle come se lo stessi montando nella realtà.
Quindi disegnando una sezione di fusoliera poi la si replica per le varie sezioni, e le si sommano per ottenere un unico oggetto solido. Dallo skin map si ricavano i ‘buchi’ (cioè i ‘vuoti’) e li si estrude per farli diventare solidi. Poi li si colloca nella posizione opportuna e li si sottrae, ottenendo la fusoliera coi buchi.
Questo è il metodo seguito per fare il cosiddetto ‘aereo virtuale’.